domenica 9 febbraio 2014

Il mio Balkan Express - Parte 2

Il 4 agosto si preannuncia con un tempo incerto...nuvoloni neri da cui a fatica il sole fa capolino. 
arcobaleno a Jelov Klanac

Salutiamo la nostra bella casetta di Jelov Klanac, i cavalli che sn venuti a trovarci anche stamattina nel prato di fronte a casa, carichiamo le macchine e siamo già in viaggio.... Dopo soli 27 km si è già in territorio bosniaco, la vegetazione è ovviamente la stessa, ma la differenza si vede...prima di tutto i campanili dei paesini croati lasciano spazio a piccole moschee, alcune donne per strada portano il velo, ma ciò non impedisce ad altre bellissime ragazze di girare con minigonne mozzafiato e magliette scollate...ci sono anche persone dai volti molto sciupati, volti cotti dal sole per il lavoro nei campi e con la faccia ricamata da rughe profonde...sembrano dei vecchi, ma credo che in realtà abbiano poco più di 50 anni. Le cittadine che attraversiamo sembrano più povere rispetto a quelli attraversati in Croazia e l'ordine dei paesini sloveni è un ricordo lontano...qui vige il tipico disordine balcanico...addirittura vediamo un grande numero di case mezze dipinte, mezze costruite con i lavori lasciati a metà, balconi senza assolutamente la ringhiera o qualcosa che ne faccia le veci...e nonostante questo donne sedute sul balcone a fumare o prendere il tè o bambini che ci giocano come se niente fosse, come se fosse normale e non ci fosse il pericolo di cadere giù! Attraversiamo vari paesini dopo esserci fermati da un benzinaio che parlava solo tedesco per cambiare i soldi: “Where can we change our money?” risposta “Ich spreche nur Deutsch...”...ripesco nei cassetti della mia memoria, da 9 anni il mio tedesco giace nel cassetto chiamato “lontani ricordi della scuola superiore”, ma riesco a spiccicare una frase di senso compiuto “Wo kann ich die Gelde wechseln?” e questo senza troppa cortesia ci cambia i nostri euro in marchi convertibili. 1 marco=50 centesimi di euro...il cambio è decisamente favorevole.
Tra un paesino e l'altro attraversiamo prati verdi, dolci colline e sullo sfondo montagne ricoperte di conifere scure...sembra non ci sia traccia umana per kilometri.

Verso mezzogiorno arriviamo a Jaice, nostra prima tappa in territorio bosniaco, città che nel novembre del '43 ospitò la Riunione del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale Jugoslavo, ma turisticamente famosa per le belle cascate di quasi 21 metri di altezza che fanno un salto proprio nel mezzo del caratteristico centro storico.
Jaice

Jaice
 Qui i segni della guerra sono molto evidenti, ci sono case sfasciate, tante altre in ricostruzione, ma quando finiranno di sistemarla, quando il centro non sarà più invaso dalle impalcature, questa cittadina diventerà un vero gioiellino, non a caso è nella lista per diventare patrimonio culturale dell'Unesco. Decidiamo di salire alla Cittadella seguendo le scale che portano alla cima della collina, il sole, latitante per tutto il resto del tempo, decide di fare capolino proprio mentre stiamo salendo e ci fa sudare come non so che...a metà strada mi fermo incantata ad ascoltare il canto del muezzin che proviene da una piccola moschea con il minareto in legno, penso sia provvisorio in attesa di essere ristrutturato. Il canto del muezzin guardando il paese e la valle sotto di noi mi fa venire i brividi nonostante il caldo. In cima alla cittadella, che si estende in cima alla collina a forma di uova, si possono vedere i resti delle mura che la circondavano, le porte di accesso in pietra e un pozzo.
La Cittadella - Jaice
Scendendo dal lato opposto da dove siamo arrivati notiamo i resti di una chiesa medievale il cui campanile è identico a alla torre che si trova sullo Stradun (o Placa) di Dubrovnik. Vediamo anche i cartelli per visitare le catacombe che forse sono la cosa più interessante di Jaice, ma non avendo tempo lasciamo stare. Ad ogni modo sappiate che per visitarle dovete suonare alla casa di fronte all'ingresso delle catacombe, ovvero alla Sig.ra Alida, che vi farà anche da guida e vi chiederà un solo marco come ricompensa. Le catacombe risalgono al 1400 e furono luogo di culto per i seguaci della “Chiesa bosniaca”. Forse quasi nessuno conosce la storia della Chiesa bosniaca, ebbene, si tratta di una Chiesa sé, che aderiva al credo e ai riti cristiani, riconoscendo la sacralità della Croce, celebrando la messa e dedicandosi alla lettura dei salmi, ma il suo elemento caratterizzante fu la vita monastica, i monasteri però svolgevano anche la funzione di locande per accogliere ospiti e viaggiatori e intere famiglie vivevano insieme ai monaci tanto che a fatica si faceva distinzione tra vita monastica e laica.
Quando ci fu l'invasione dei turchi, quasi tutti si convertirono all'islam, probabilmente in cambio di favori (questo può far capire, anche se non comprendere, come mai i mussulmani bosgnacchi siano mal visti sia da serbi ortodossi che da croati di fede cattolica...dissotterrando cose vecchie di 5 secoli i bosgnacchi appaiono come i traditori. Quelli che in cambio di favori diventarono mussulmani invece di combattere gli invasori. E qui chiudo la parentesi visto che mi viene la pelle d'oca anche solo a tentare di trovare un motivo a quella guerra orribile degli anni '90 del secolo scorso).
Scesi di nuovo in paese, andiamo in centro a mangiare i cevapcici, ma essendo un bar la qualità non è ottima (pita e carne sono davvero troppo unti e dal quel momento diventeranno il peggior incubo di Sugar).
Camminiamo poi fino al belvedere da cui si vedono le due bellissime cascate, ma per chi non soffrisse di vertigini, c'è la possibilità di vederle proprio nel punto da cui “compiono il salto”
cascate di Jaice

Torniamo alla macchina e proseguiamo verso Sarajevo...NON VEDO L'ORA di arrivare!


Guidare è piacevole, non credete a chi vi dice che le strade sono terrificanti e pericolose e che ci sono controlli della polizia ad ogni angolo (non ne abbiamo visto nemmeno uno), l'importante è non oltrepassare il limite di velocità e non avrete problemi. La via è a due corsie, niente autostrada, ma è bello vedere il panorama, attraversare piccoli paesini e cittadine un po' più grandi, vedere la collina che diventa montagna, tutto quel verde e i piccoli fiumi color smeraldo...se la Bosnia fosse un colore non c'è dubbio che sarebbe VERDE (la Bosnia nè...non ho detto l'Erzegovina).
Una cosa curiosa: ad un certo punto, a metà strada tra Jaice e Sarajevo, vediamo un susseguirsi di venditori ambulanti di CD sul ciglio della strada. Hanno 'sti baracchini che vendono CD sbiaditissimi, chissà di quali cantanti. Però erano buffi! Mai visti in nessun'altra strada percorsa durante il ns viaggio (di solito vedevamo venditori di vino, miele, frutta e soprattutto mirtilli).

Arriviamo a Sarajevo che è pomeriggio inoltrato, ci ricordavamo che l'hotel (la Pansion Kandilj) è vicino al ponte Latino, il ponte vicino al punto dove l'anarchico Serbo Princip fece partire i colpi di pistola che uccisero a morte l'erede al trono dell'Impero Austroungarico, l'arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie Sofia incinta di pochi mesi.
Dopo soli pochi km dell'autostrada in costruzione, arriviamo a Sarajevo, rotolando direttamente nel viale soprannominato “Viale dei Cecchini”, ovvero la Zmaja, un grande viale cittadino a 4 corsie che collega la periferia con il centro della città risalendo la Miljacka (il fiume di Sarajevo). Riconosco il famoso Holiday Inn sulla mia sinistra, quel blocco giallo famoso per essere stato durante l'assedio l'unico hotel in funzione dove dormivano i giornalisti di tutto il mondo venuti a raccontare quella folle guerra. Il viale dei Cecchini è così soprannominato perchè era una delle zone più esposte della città, avendo le montagne da entrambi i lati ed essendo troppo largo per riuscire a nascondersi.

Dalle montagne i serbi sparavano, giocavano al tiro al bersaglio puntando i loro fucili di precisione a caso sulle loro vittime. Chi attraversava doveva farlo correndo, magari a zig zag per cercare di non essere un bersaglio troppo facile. Ogni volta che attraversavi era come giocare allo roulette russa...un colpo era pronto per te, ma non eri sicuro di quando e se sarebbe esploso.

I cecchini si divertivano a scegliere le loro prede. Poteva essere un vecchio che faticava ad affrettare il passo, poteva essere una mamma col bambino in braccio. Poteva essere quello che correva davanti a te e non potevi avere pietà per fermarti a soccorrerlo. Dovevi raggiungere correndo a testa bassa l'altra sponda della strada per riprendere fiato ed essere momentaneamente al sicuro. Se eri in macchina dovevi sfrecciare velocissimo e i passeggeri dovevano tenere la testa abbassata.

Sull'altro lato della strada, alla nostra destra, vediamo molti palazzoni, alcuni rimessi a nuovo altri completamente bruciati o con le finestre rotte e le parete bucherellate a mo' di gruviera. La maggior parte dei proiettili sono intorno alle finestre. Colpi fortunati...indirizzati alle finestre per colpire gli inquilini. Già, perchè non eri sicuro nemmeno in casa tua a Sarajevo.

Percorrendo la strada vediamo vari ponti e palazzi, tra cui il ponte costruito su progetto di Eiffel e il palazzo della posta. Arriviamo all'altezza del ponte latino, lo superiamo e giriamo a destra su un ponte che non è solo pedonale. Scendiamo dalla macchina per capire un po' dove siamo e cercare di capire dove sia l'hotel...appena scesa dalla macchina attratta come un'ape dal miele corro con la mia macchina fotografica sul ponte latino dove vedo la città e la Miljacka baciata dall'ultimo sole...i tetti di Sarajevo si colorano di arancione e io scoppio di gioia. Urlo “Steeeeee...mi piace!”
Sarajevo Ponte Latino

...ecco...quello per la cronaca sarà la prima e ultima volta che vedrò Sarajevo con il sole durante il mio soggiorno :-(( quindi non mi pento di aver privato i miei amici del mio contributo nella consultazione della piantina...contributo che tanto sarebbe stato penoso visto che tutti sanno che il mio orientamento fa pena...almeno avrò quell'unica foto di Sarajevo baciata dal sole
Risaliamo in macchina e andiamo a naso, ci troviamo vicino alla chiesa cattolica di Sveti Anto (Sant'Antonio), che non può non essere notata visto il suo colore rosso. Chiediamo informazioni a un papà che sta portando “in spagoletta” la sua bimba. All'inizio dice che non sa come aiutarci, poi vede la targa italiana e ci fa cenno di fermarci. Posa la sua bimba e consulta la cartina...ci indica dove andare, siamo vicini alla Pensione. È vicinissima al ponte Latino, solo 5 minuti a piedi, ci si lascia alle spalle il ponte Latino e a destra il Padiglione musicale, si sale per un vicoletto con delle case sgarrupate e sulla destra quasi nascosto ecco la nostra Pansion Kandilj. 

Mentre tiro giù i bagagli dalla macchina vedo due bambini che giocano nel vicolo, hanno un mitra finto in mano. Avranno 7/8 anni. Sorrido di un sorriso triste (e li fotografo ovviamente!) pensando a tutti i bambini come loro per i quali la guerra 20 anni prima non è stata un gioco. La pensione è piccina, pulita e arredata in stile tipico bosniaco, le camere sono piccole, ma accoglienti. Gli altri vogliono riposarsi un attimo, io e Ste invece scendiamo subito in strada, andiamo a piedi sul Ponte Latino.


 La scritta che ricordava l'attentato all'Arciduca definendo Gavrilo Princip “Eroe” è stata tolta in quanto Princip era serbo. Chissà se un giorno la rimetteranno. Ora è stato ridefinito “Terrorista”. Attraversato il ponte, all'altro lato della strada c'è un allestimento che mostra come avvenne l'attentato ricostruendolo con un filmato. Ci inoltriamo nella Bascarsija, il quartiere turco, il cuore di Sarajevo, la parte della città più cara ai sarajeviti.

 Descriverlo è riduttivo perchè le parole non possono rendergli giustizia. Posso dirvi che le strade sono lastricate, che c'è un bazar, tanti negozietti caratteristici ...ma quale centro storico non li ha? Potrei dirvi che in negozi hanno le saracinesche in legno che quando si chiudono diventano panchine, cosa che non ho mai visto in nessun altro posto. Ma non basterebbe ovviamente a farvene innamorare. Perchè per capire la Bacarsija, per comprendere come mai ti fa innamorare di Sarajevo devi ascoltarla, vederla e soprattutto annusarla. Non riesco a raccontarvela...Sarajevo è una canzone che esce da un negozietto di cianfrusaglie dove una ragazza con un vestito di ciniglia beige maculato di nero suona al pianoforte, lasciando la porta aperta per fare uscire le sue note dolci e lasciando entrare l'aria profumata dell'estate. Sarajevo è un piatto di cevapcici servito con la pita, il cui profumo (ebbene sì, per me è un profumo!!) ti si infila nelle narici e ti fa venire l'acquolina anche se hai appena mangiato. Sarajevo è il disordine delle stradine piene di negozi che vendono cianfrusaglie, ma anche gioielli in filigrana d'oro e manufatti in rame. Sarajevo è il profumo del caffè che esce da una Kafana. Sarajevo è i mille colori del bazar all'angolo tra Ferhadija e Gazi Husrevbegova, o dei tappeti colorati impilati nel cortile del Morica Han. Sarajevo è anche profumo di legna bagnata e di bosco. Tutto intorno alla città ci sono le colline e Sarajevo è scavata tra le montagne, si allunga con la Miljacka. Come canta Giovanni Lindo Ferretti è un catino.



Torniamo indietro alla pensione e con gli altri rifacciamo lo stesso percorso fatto prima...mostro loro anche le targhe, lungo i palazzi che costeggiano il fiume, di alcune persone uccise dai cecchini nel 1992 e 1993. Un ragazzo aveva la mia età. Ripercorro con loro per la seconda volta la via principale della Bascarsija. 

Ormai è buio e ha cominciato a piovere
Decidiamo di cenare al ristorante Inat Kuca, la “Casa della ripicca”, che un tempo si trovava nella sponda del fiume dove ora si trova la Biblioteca Nazionale, ma verso la fine del XIX° secolo proprio per costruire la Biblioteca Nazionale, la Vijecnica, fu fatta demolire. Il proprietario per ripicca si fece dare un risarcimento in monete d'oro e ricostruì la sua casa tale e quale sul lato opposto del fiume: da qui il nome singolare. Corriamo sotto la pioggia, fa freddo, ci saranno si e no 18°C che non è esattamente la temperatura che ci aspettavamo. Entriamo nel ristorante e ci sembra subito bellissimo per la calda atmosfera (in tutti i sensi!!) e per l'arredamento tipico. 

È davvero un gioiellino, ogni particolare è curato. Ci sediamo al nostro tavolo, su panche ricoperti da cuscini colorati fatti a mano, nel tipico stile ottomano. Prendiamo un piatto tipico, la Begova čorba e poi alla fine un dolce buonissimo di cui non ricordo il nome, ma non era la Baklava. Per finire un bel caffè bosniaco, che altro non è che il caffè turco (sorrido pensando che per i greci è il caffè greco e per i bosniaci è il caffè bosniaco...ma in fondo altro non è che il caffè turco). E' particolare perché viene servito in una piccola brocca d’ottone o rame con il manico allungato. Poi viene versato in una tazzina senza manico. Di solito si aggiungono due zollette di zucchero oppure vanno intinte nel caffè e gustate a piccoli morsi. Come in molte altre culture, è più un rito che una bevanda.

 Dopo cena diluvia, ma ciò non ci impedisce di ammirare la Biblioteca Nazionale illuminata
La Biblioteca Nazionale


, bellissima nonostante i ponteggi, e di farci ancora un giro nella Baščaršija alla ricerca di un locale in stile “Mille e una notte” dove fumarci un narghilè e bere una birra.
 
Sarajevo by night - uno dei tanti locali del centro

DOVE DORMIRE: Guest House Kandilj, http://www.kandilj.com/ E' una caratteristica pensione arredata in stile bosniaco, comodissima per visitare la città perchè a 5 minuti dal Ponte Latino a 10 minuti dalla Baščaršija.La colazione viene servita nel seminterrato, è discreta, nulla di eccezionale, ma lo yogurt è buonissimo. Il personale è giovane e cordiale.

DOVE MANGIARE: Ristorante Inat Kuca http://www.inatkuca.ba/bs/ locale arredato in modo tipico, si mangia bene, anche se di sicuro non è il ristorante più buono provato a Sarajevo, si trova sulla sponda opposta del fiume rispetto alla Biblioteca Nazionale, offre i piatti più famosi della cucina tipica Bosniaca, ottimi dolci e il caffè turco preparato e servito ad arte.

2 commenti:

  1. Ahhhhhh ... erano giorni che speravo di poter passare e finalmente eccomi qui! Tra le tue parole mi sento a casa ...

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